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THE SOCIAL NETWORK Film con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggio
  Stampa questa scheda Data della recensione: 14 novembre 2010
 
di David Fincher, con Jesse Eisenberg, Andrew Garfield, Justin Timberlake, Rooney Mara (Stati Uniti, 2010)
 
Il successo annunciato di THE SOCIAL NETWORK non sorprende più di tanto. Bastava infatti suscitare l'interesse di un'infima parte dei 500 milioni (!) di abbonati a Facebook per assicurare alla biografia del suo inventore, nonché supermiliardario a soli 26 anni Mark Zuckerberg, una di quelle affluenze alle sale sulle quali gli operatori del settore scommettono sempre di meno. Ma il progetto di David Fincher, cineasta di camaleontico talento, capace di passare da thriller spregiudicati come SEVEN o speculazioni modaiole alla FIGHT CLUB alle riflessioni avvincenti di ZODIAC e IL CURIOSO CASO DI BENJAMIN BUTTOM lasciava presagire qualcosa di più eccitante del solito biopic un po' ingessato, caro alla tradizione hollywoodiana. E infatti.

Fincher, e forse più ancor più il suo brillante sceneggiatore Aaron Sorkin, hanno trasformato quella clamorosa ascesa sociale e economica in una faccenda assai più umana: la storia di un giovane, non necessariamente simpatico ma dalla diabolica intuizione e perspicacia, cui riesce di cavalcare l'intero universo per non essere riuscito a conquistare quello della propria ragazza.

Facebook, allora. Una fabbrica di amici per vincere l'umiliazione, una rete di protezione per un acrobata della globalità tecnologica; destinata a combattere la difficoltà di vivere e di comunicare di un asociale ai confini dell'autismo? Ma l'interesse di un film che si espande all'orizzontale (ad immagine esatta dell'iperbolico marchingegno inventato da Zuckerberg) non è tanto nell'introspezione psicologica di personaggi che permangono piuttosto indistinti. Quanto nelle relazioni esistenti fra loro: che la voracità della scrittura (negli schermi aggrediti dai tasti dei computer; ma, più ancora, nella spaventosa velocità degli scambi dialogati) lega e confronta in modo anche stilisticamente impagabile. Qualcuno ha parlato di RASHOMON. E, in effetti, come nel capolavoro di Kurosawa, a regnare è l'ambiguità. La duplicità della verità e dell' illusione: che, forse, è la stessa provata da chi ha inventato, e ora utilizza la precipitosa fuga in avanti di Facebook.

In una visione tutta tesa a rendere l'immediatezza del presente, lo spettatore rinuncia ben presto a raccapezzarsi nella frenetica ragnatela delle elucubrazioni informatiche: ma non per questo si distacca da una situazione che finisce per coinvolgerlo, con i temi classici dell'amore e del tradimento, la frustrazione e la solitudine, il potere e il denaro. Incessantemente coniugati fra loro, i diversi antagonisti (Sean Parker, fondatore degli scambi musicali di Napster, i fratelli Winklewoss, elitari di Harvard bruciati dall'intelligenza fulminea di Zuckerberg, Eduardo Saverin, l'amico fedele egualmente tradito) compongono una struttura che tradisce le origini di uno specialista del thriller come David Fincher. Ma, egualmente, una sua nuova dimensione, più riflessiva ma sempre rigorosamente posseduta, che si è affermata nelle sue opere più recenti. È grazie a questa, alla straordinaria complessità dei dialoghi e della costruzione scenaristica, all'intelligenza dei suoni e dei temi musicali che un film dal soggetto apparentemente arido acquista una dimensione superiore: allargando la molteplicità dei suoi temi ad una riflessione amara ed al tempo stesso ammirata su un'epoca che si affida al gesto più che alla parola, alla macchina piuttosto che al corpo. Ma pur sempre governata dalla mente.


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